Breve reportage della Gran Fondo Il Lombardia 2022 – seconda parte
Affrontiamo le ultime rampe del Muro di Sormano in mezzo alla nebbia, o alle nuvole, difficile distinguere, come è difficile distinguere i suoni attorno oltre al rumore del proprio cuore, da molti minuti ormai fuori soglia, sia per la fatica che per l’emozione – anche qui difficile, se non impossibile, operare una distinzione.
In cima al Muro è strategicamente posizionato il primo ristoro, qualcuno si ferma, qualcuno no e tira dritto buttandosi lungo la (famigerata) discesa verso Nesso.
Chi scrive non ha dubbi, né tempi da curare né posizioni da difendere, e decide per la prima opzione.
Prima di ripartire si sente una voce a bordo strada dire: “Fate attenzione in discesa ragazzi, che è tutta una foglia”.
Proprio così, tutta una foglia.
E appena risaliti in bicicletta capiamo perfettamente cosa intendesse la voce con quell’espressione sibillina, quasi poetica.
L’acquazzone che ci accompagna da prima della partenza ha steso un tappeto marrone sull’asfalto, ancora più che lungo il Muro – molto più che lungo il Muro – con l’ulteriore differenza che adesso non c’è tempo di ammirarlo, giocare ad indovinarne le caratteristiche. Adesso c’è solo da attraversarlo, con la massima cautela possibile, dosando freni e traiettorie per arrivare senza pensieri al salvifico lungolago che laggiù, da qualche parte, ci attende.
Chi scrive non è mai stato un drago in discesa (neanche negli altri terreni, c’è da dire, ma tanto meno in discesa) e adotta la seguente strategia: mai fare salire il contachilometri a più di 30, 35 all’ora, nemmeno nei rettilinei, che non si sa mai; affrontare le curve talmente piano da non dover piegare la bicicletta; non seguire, anche a costo di finire ultimo, le scie degli altri partecipanti più esperti che scendono con invidiabile maestria ma che potrebbero rivelarsi, per chi di quella maestria è sprovvisto, pericolose come le sirene per Ulisse.
Chi in un modo chi un altro, a Nesso comunque si arriva.
Qui il clima si è fatto più mite.
La pioggia continua, naturalmente, a volte fitta e volte fittissima, ma la temperatura mitigata dall’aria del lago è più accogliente, e anche la strada verso Bellagio – coi suoi saliscendi – aiuta a scaldarsi in vista del Ghisallo, che inizia senza che quasi ce ne si accorga.
E di nuovo si formano i diversi gruppetti in base alla velocità, gruppetti che però non sono fissi ma in continua evoluzione, qualcuno scivola nel gruppo dietro, qualcun altro raggiunge quello più avanti.
Ma quanto dura questa prima parte del Ghisallo, quella più dura? Siamo sicuri che sia sempre lui o per la nebbia siamo sconfinati in Valtellina e stiamo salendo lo Stelvio?
Le frecce dell’organizzazione che indicano -7, -6, -5 km allo scollinamento indicano che senza timore di smentita che sì, siamo sicuri, è solo la fatica accumulata che inizia a farsi sentire.
In cima (in verità appena dopo la cima) è posizionato il secondo e ultimo ristoro, e anche qui nessun dubbio se fermarsi o no, decisione premiata dalla presenza di un furgoncino che distribuisce caffè, nero, bollente, rigenerante.
Anche se corretto pioggia, che continua a non pensare nemmeno lontanamente di smettere, è un breve momento di tepore che più di un partecipante dimostra di apprezzare molto.
Si riparte per gli ultimi 40 km, dapprima lungo la discesa – stavolta meno insidiosa – verso Canzo, poi attraverso la Brianza con qualche strappetto qua e là, ma sapendo che le difficoltà vere ormai sono alle spalle.
Nel tratto finale chi ha ancora gambe buone accelera, altri continuano regolari, altri ancora risparmiano energie per affrontare la rampa che porta al centro Cantù, verso la fine delle fatiche e dell’avventura, verso un traguardo che in certi momenti è sembrato così distante.
E invece adesso eccolo lassù, al termine di uno strappo che assomiglia molto a quello di via Santa Caterina a Siena che si affronta nel finale della Gran Fondo Strade Bianche, e qui come lì la pendenza cresce fino all’ultimo metro, e qui come lì occorre scovare da qualche parte gli ultimi granelli (gocce, in questo caso) di energia per guadagnare la cima senza piantarsi a metà – con la consapevolezza però che in qualche modo si troveranno, perché poi è fatta, poi è finita.
In piazza a Cantù la pioggia continua tra foto, abbracci e strette di mano, ma ormai non ci facciamo più caso.
È come se ci avessimo fatto amicizia e anzi, l’essere bagnati fradici infreddoliti gocciolanti dalle sette di stamattina è quello che ora ci fa sentire vicini, compagni, in qualche modo fratelli.
Adesso ci fanno quasi peccato i professionisti, che hanno corso ieri accompagnati da un sole quasi estivo.
Nessuno lo dice, ma tutti lo pensiamo: il vero Lombardia, quest’anno, l’abbiamo corso noi.